Cos’è l’Ipnosi Regressiva?
“Poniti dinanzi agli eventi come un
bambino, e sii pronto ad abbandonare ogni
preconcetto, vai umilmente ovunque e in
qualunque abisso la Natura ti conduca: o non
apprenderai nulla.”
A.L. Huxley
La terapia regressiva è una forma di psicoterapia
che al pari della terapia analitica junghiana lavora sulle immagini foriere di
simboli presenti nell’inconscio. Da circa 20 anni si parla di Trance Regressiva
riferendoci a quel particolare stato di coscienza che permettendo il contatto
con le immagini, le sensazioni, le percezioni in profondo rilassamento,
determina l’ingresso non solo nei nuclei archetipici dei soggetti – presenti da
sempre nell’inconscio – ma facendo anche ipotizzare la nascita di queste
immagini da situazioni realmente vissute in epoca antecedente la propria attuale
vita. In esperienze cliniche ripetute in tutto il mondo, dall’India di Osho,
all’America di B.Weiss, alla Germania di T. Dethlefsen, all’Italia di A. Bona,
alcuni pazienti sembrano riferire attraverso le immagini accadimenti , luoghi ed
epoche non parimenti rintracciabili con la sola terapia verbale. L’ipotesi di
vite precedenti diventa allora plausibile….ma al di là della certezza di essere
già stati su questo pianeta – che non avremo mai – quello che ci viene in aiuto
dalla filosofia orientale è l’idea che il ritorno in questa terra sia legato ad
un compito (Karma); che il compito si esplichi attraverso la missione che ognuno
di noi incarna e che tale missione sia ravvisabile negli archetipi di cui siamo
portatori. Lo stato di trance attraverso il rilassamento e lo sganciamento degli
emisferi cerebrali, induce la comparsa di quelle immagini capaci di far
comprendere al soggetto quale possa essere stato il compito interrotto in vite
precedenti da completare o modificare in questa vita. A ben vedere siamo di
fronte al lavoro più puro con l’inconscio, le cui censure diminuite dalla
trance, permettono di “giocare” con le visioni interiori al fine di comprendere
il telòs della propria esistenza .
La terapia regressiva in psicoterapia ha lo scopo di comprendere il senso di
eventi che si ripetono senza alcuna variazione e che sembrano sfuggire ad ogni
sorta d’interpretazione analitica. Non è soltanto l’esperienza new age della
vita precedente (ammesso che possiamo averne certezza), ma soprattutto il
collegamento tra il qui ed ora ed il là ed allora dell’inconscio….restituire
senso e legittimazione alle immagini archetipiche che ci muovono nel mondo.
Non è possibile pensare di fare un percorso regressivo senza una psicoterapia:
la regressione è soltanto una tecnica che – utilizzata a seconda dei casi –
permette di approfondire maggiormente l’espressione dell’inconscio. Non tutti,
infatti, possono accedervi: soggetti affetti da psicosi, sindromi borderline,
gravi depressioni, donne in stato di gravidanza e minorenni non possono
accedervi.
Relazione
su Sogno Vigile Esplorativo Indotto ed Orientato
(Ipnosi Regressiva)
Dott. Sergio Amico
Dott.ssa Giusi Polizzi
CONGRESSO INTERNAZIONALE DI PSICOLOGIA PALAZZO DEI
CONGRESSI OSLO - LUGLIO 2009
ORDINE NAZIONALE DEGLI PSICOLOGI ORDINE REGIONALE DEGLI PSICOLOGI SICILIA
LIBERTA’ COME CAPACITA’ DI
SCEGLIERE ALL’INTERNO DEL PROPRIO DESTINO
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione
G. Gaber
La parola sanscrita Karman
indica un principio di causalità, l’effetto risultante da un’azione. In
particolare indica gli effetti delle azioni compiute lungo l’arco della vita che
raccoglieremo nelle vite successive. Il Karma è frutto dell’azione ed è ciò che
spinge la mente del soggetto ad agire, pensare, identificarsi, esistere in una
data condizione. Il karma, dunque, costringe l’individuo a migrare nel perenne
ciclo del divenire (samsara), passando da
una condizione esistenziale all’altra.
A prima vista tale definizione sembra rappresentare una visione pessimistica
della vita, quasi un’espiazione di quanto compiuto in precedenza. Consideriamo
però la questione da altri punti di vista . Molti effetti derivanti dalle nostre
azioni si manifesteranno all’interno della stessa vita, mentre altri agiranno
nelle vite future.
La concatenazione di causa-effetto investe tutti gli aspetti dell’uomo e per
aspetti umani intendiamo ricondurci alla trinità presente in ognuno di noi:
spirito, corpo, anima.
Lo spirito, come principio immateriale di vita che ha la sua manifestazione più
pura nella divinità , indica sostanzialmente il soffio, il respiro, lo spirito
vitale che anima e conferisce movimento all’intero universo ordinandolo e
dirigendolo al contempo. In tal senso lo spirito indica la libertà creatrice.
Il corpo può essere considerato come l’involucro attraverso cui spirito ed anima
si manifestano nella espressione visibile e maggiormente ancorata alla natura e
quindi alla necessità (Anànke). Diventa
così la forma manifesta nell’universo.
L’anima , come terzo tra corpo e spirito, oscilla
tra i due poli mediando tra la necessità e la libertà creatrice. L’anima come
Ermes-Mercurio, dio dei viandanti ed accompagnatore di anime, naviga tra il
mondo ctonio, infero, ed il mondo supero. Gli obiettivi che ogni essere umano si
prefigge nascono dalla compartecipazione della trinità succitata, e si delineano
lungo la tensione tra ideali da raggiungere e senso di realtà. Compito
dell’anima quindi è quello di mediare tra spirito e natura.
Ovviamente l’uomo è ancorato alla sua dimensione fisica, alla famiglia entro cui
nasce e cresce, alle sue esigenze interiori e culturali, alle sue aspirazioni,
ma anche e soprattutto alle esperienze che la vita gli pone. Tutto ciò però non
indica un crudele determinismo contro cui nessuno può combattere. Più che
combattere si tratterebbe dunque, di accettare, che quel tipo di necessità è
funzionale per la nostra comprensione ed evoluzione. Si tratta, quindi, di
SCEGLIERE cosa fare delle possibilità che in questa vita ci sono date. Lungi dal
pensare che all’interno di una vita problematica non si possa scegliere, il
compito destinale diviene la comprensione degli accadimenti sulla base di una
nostra pre-natale scelta d’esistenza. Platone nella Repubblica parla del mito di
Er narrando come le anime dopo la morte si scelgano di volta in volta la vita
adatta a loro da rivivere. E’ necessario però, dopo aver compiuto la nuova
scelta, bere l’acqua dell’oblio dal fiume Amelete presso la pianura del Lete, al
fine di dimenticare la vita precedente e poter riaccedere a nuovi spazi di vita
futura. Nella scelta della nuova vita intervengono le figlie di Anànke , le
Moire . La prima Moira si chiama
Lachesi ed è colei che assegna all’uomo il suo
fato; la seconda si chiama Cloto e dona
all’uomo le forze necessarie di volta in volta per affrontare le esperienze; la
terza si chiama Atropo e dona all’uomo
tutto ciò che gli serve per la sua evoluzione e che non può essere evitato,
finanche il momento della morte.
Anche in questa tripartizione tutto sembra stabilito. Ma ciò che in realtà è
stabilito- un po’ come le stelle fisse in astrologia il cui movimento è talmente
lento da sembrare inesistente-, è la base di partenza, ovvero ciò da cui
dobbiamo partire per accrescere o completare l’evoluzione. La base di partenza
in questo caso, può essere il corpo, la famiglia, la cultura in cui nasciamo.
Come manipoleremo le basi partenza e come interverremo negli accadimenti che
chiamiamo “caso” ma che non sono mai frutto del caso, in quanto inconsciamente
attesi ed autodeterminati, sarà frutto di una libera scelta. La differenza
terminologica ma anche concettuale tra la parola destino e la parola karma sta
nel fatto che mentre la prima rimanda ad una impossibilità personale di azione
dove gli eventi vengono subiti, il karma indica invece la scelta del tipo di
esperienze cui si va incontro, scelta determinata dalle esigenze interiori che
rimandano ad un compito interrotto nelle vite precedenti. Ma se non vogliamo
scomodare le vite precedenti, è opportuno ricordare che nella pratica
psicoterapeutica ogni giorno assistiamo ad eventi che il cliente narra e che
rimandano all’esigenza personale di incontro-scontro con gli stessi al fine di
superare nodi irrisolti che affondano le radici nelle prime esperienze infantili
e culturali che costelleranno in futuro le scelte di vita. James Hillman, noto
psicoterapeuta di matrice junghiana, parla della coazione a ripetere non come di
un ritorno al rimosso secondo la classica accezione freudiana, ma come un
bisogno dell’anima di ripercorrere se stessa al fine di comprendere chi è e
quale è il suo compito in questa vita. Attraverso la coazione a ripetere non si
mette in scena solo l’ancoraggio patologico ma il punto di partenza da cui
l’anima deve guardare di volta in volta per espandersi.
Mentre il passato è già accaduto e non può essere modificato, ciò che invece
possiamo ancora fare è non omettere nel futuro le nostre possibili azioni .
Secondo la dottrina dello Yoga il potere, non nel senso della manipolazione
bensì nel senso delle possibilità, è ben rappresentato dal centro energetico che
congiunge il mondo delle emozioni a quello della spiritualità manipura, terzo
chakra posto al livello del plesso solare. Volontà è , quindi, potere. Questo
non indica che tutti gli obiettivi prefissati vengano raggiunti, ma il
raggiungimento degli stessi è legato anche ad un tempo evolutivo , ad una
maturazione spirituale presente in tutte le cose, ma anche ad una gerarchia di
azioni da compiere. In tal senso la volontà di agire non può essere condotta
nell’isolamento sociale e spirituale. Volontà è anche partecipazione.
Partecipazione del singolo con altri singoli in quel movimento più o meno
latente che le anime determinano inconsapevolmente da sempre, e spesso in modo
sincronico, e che Carl Gustav Jung ha denominato Inconscio Collettivo.
Il presente deriva ,quindi, dalla tensione tra il passato ed il futuro, dalle
necessità dell’anima con i suoi pensieri già pensati, le esperienze vissute, il
suo rapporto con la morte; mentre lo spirito osserva cosa può servire a
quest’anima per proseguire nella sua evoluzione. A tal uopo un recente film
Vai e vivrai di R. Mihaileanu (2005) narra la storia di un ragazzo etiope
che vive in un campo profughi in Sudan il quale per sfuggire al fatale destino
del suo paese, viene aiutato dalla madre a trasferirsi con un espediente in
Israele, fingendosi ebreo. Qui, adottato da una famiglia di larghe vedute
socio-politiche, lotta costantemente tra il suo segreto, la nostalgia della
madre naturale lasciata in Sudan, e un’identità nascente determinata
dall’incontro con un’altra cultura. Riesce a compiere gli studi di medicina per
ritornare nel suo paese d’origine mettendosi al servizio della sofferenza e
ritrovando la madre. Si tratta certamente di un epistrophé, ovvero un ritorno
alla causa. Ma la causa che ha generato un fatto o un emozione è anche il motore
dell’evoluzione. Singolare è la frase che la madre naturale dice al figlio
all’inizio del film durante l’addio: Vai e diventa…Diventare ovvero divenire…Ma
il divenire è sempre legato ad un compito, ed il compito è sempre stabilito a
priori del momento attuale . Il Karma è , quindi, un frapposto tra passato e
futuro, determinato dal Kairos che in
greco indica il particolare momento evolutivo che ognuno di noi si trova dinanzi
più volte nella vita, e agendo come un insight ci svela il compito stabilito, o
frammenti di esso. Sta a noi poi abbracciarlo oppure no.
E la scelta che l’uomo compie dinanzi al kairos, attraverso un meccanismo
circolare, ripetitivo,amplifica o diminuisce le possibilità di migliorarsi.
Karma, quindi, non come espiazione, ma come possibilità di avvicinarsi sempre
più al samadhi, ovvero a quell’identità
trascendente che va al di là dell’apparente distinzione formale. Leggere gli
avvenimenti karmici, permette, infatti, di osservare tutte le cose “in
trasparenza” -citando J. Hillman, al fine di azzerare le polarità presenti nel
nostro mondo concettuale (bello brutto /buono cattivo/ giusto sbagliato/ normale
patologico). La legge del karma indica la compresenza di tutte le cose e saper
leggere in trasparenza rimanda alla presa di coscienza dell’esistenza di aspetti
che preferiamo non vedere all’interno degli accadimenti. Un accadimento , per
quanto negativo, si pone come collegamento di ciò che possiamo migliorare, di
ciò che abbiamo lasciato interrotto, come nostra necessità in questa o in altre
vite.” Per l’anima non vi è né nascita né morte. La sua esistenza non ha avuto
inizio nel passato, non ha inizio nel presente e non avrà inizio nel futuro.
Essa è non nata, eterna, sempre esistente e primordiale. Non muore quando il
corpo muore”(Bhagavad-gita 2:20)
ATTACCAMENTO O PERDITA?
LA FINALITA' DEL CAMBIAMENTO ATTRAVERSO LA COMPRENSIONE DEI KLESA
"Il dolore nella vita è inevitabile ma la
sofferenza è facoltativa"
P. Yogananda
La terapia regressiva si fonda sul rintracciamento dei nuclei di tensione
karmica che come scrive A. Bona costituiscono "le cattive emozioni e i
tormentosi affetti che devono fluire dal cuore, racchiuse in allegoriche bolle
che manifestano una dolorosa tensione superficiale" (Bona, 2006). Tali
nuclei permettono lo svelamento dei nessi karmici, ovvero l'esplicazione delle
radici nelle precedenti vite del conflitto della vita attuale. Ma di cosa sono
piene queste bolle? Cosa intendiamo per cattive emozioni e tormentosi affetti?
Ancora una volta la filosofia yoga ci fa da Maestra illuminandoci il cammino
verso la comprensione.
Il termine sanscrito klesa significa afflizione, sofferenza di carattere
esistenziale dovuta all'ignoranza della propria natura di
Essere-Coscienza-Beatitudine assoluti, che determina una identificazione del
soggetto con gli accadimenti della propria vita. Non conoscendo la propria vera
natura, che è sempre divina e completa, l'uomo è abituato a definirsi in base ai
ruoli assunti nella vita ed in base agli accadimenti che ne costellano il suo
dipanarsi. Esiste, altresì, un altro tipo d'identificazione, ovvero quella col
proprio corpo. Al lettore sembrerà difficile comprendere come non ci si possa
identificare con le proprie afflizioni o col proprio corpo, ma in realtà ciò che
con tali aspetti s'identifica, non è il Sè supremo, la più profonda natura
dell'Essere - completa e trascendente - bensì l'Io. L'Io, seguendo il linguaggio
psicoanalitico della classica tripartizione psichica freudiana - peraltro
condivisa da tutte le scuole di pensiero psicologico - si costituisce come il
mediatore tra gli impulsi dell'Es (inconscio) - che sono sempre primitivi ed
immediati - e la coscienza (determinata anche dalle proibizioni del Super-Io),
che al contrario dell'Es opera un principio di realtà sulle cose e, quindi, di
discernimento.
Affermiamo, dunque, che l'Io - se integro - si pone come punto d'equilibrio tra
le spinte sotterranee della psiche e le richieste della mente conscia, frutto di
un attento esame di realtà. Ma per compiere questa difficilissima , nonché
dispendiosa operazione, l'Io sacrifica la natura più intima del Sé, poiché il
mantenimento dell'esame di realtà comporta un allontanamento dalla natura divina
per accostarsi alle richieste sociali derivanti dall'ambiente in cui si è
inseriti. Le richieste sociali costituiscono le spinte verso l'assunzione di
ruoli; le richieste sociali nascono dal bisogno di soddisfare i propri personali
desideri che a loro volta porteranno all'assunzione costante e continua di
ulteriori desideri, non appena quelli precedenti saranno stati soddisfatti. E'
ovvio che il desiderio muove la curiosità e, quindi, il mondo. Ma il nocciolo
della sofferenza sta nel come desideriamo e , soprattutto, se identifichiamo o
meno tutto il nostro essere con la realizzazione di quel tale desiderio. Buddha,
stabilisce come causa di tutte le sofferenze, proprio il desiderio: Quando
questo ha il sopravvento sul Sé, l'Io inizia a stabilire una serie di parametri
rispetto a come dovrebbe essere la vita dell'individuo che esso rappresenta. Da
qui l'identificazione con tutto ciò che lo avvolge, dentro e fuori. Per
identificazione, intendiamo l'eccessiva vicinanza con le emozioni determinate
dagli eventi: di qualunque natura essi siano.
Nelle afflizioni, quindi, troviamo anche il piacere, poiché il perseguimento di
esso genererà sofferenza: o perché impossibile da raggiungere o perché subito
dopo si genereranno altri desideri, creando un costante senso d'insoddisfazione.
Patanjali afferma che la mancanza di consapevolezza della realtà, il senso
dell'egoismo (nei termini dell'"io sono" in quanto identificazione con gli
eventi), le attrazioni e le repulsioni, nonché il forte attaccamento alla vita,
generano tutte le miserie dell'esistenza. Queste componenti emozionali presenti
in ogni individuo - rintracciabili all'interno dei nuclei di tensione karmica
cui accennato in apertura - costituiscono i Klesa: Avidya , Asmita,
Raga, Dvesa e Abbinivesa.
Avidya è la radice degli altri quattro e rappresenta l'illusione (Maya) in cui
la coscienza si lascia coinvolgere identificandosi con la materia e, quindi, con
gli avvenimenti. E' la forma dignoranza per eccellenza in cui si prende il
non-eterno, l'impuro e il male , per eterno, puro e buono.
Asmita è l'identificazione della coscienza con quanto si percepisce, ove l'Io-sono
nel senso della pura coscienza si confonde con "io sono questo o quest'altro".
Ci si identifica, dunque, col veicolo con cui opera: nella fattispecie col
corpo. Ma forme più evidenti di asmita sono rappresentate dall'identificazione
con le operazioni della mente.
Raga è l'attrazione che si prova verso le persone, gli oggetti o gli eventi che
sono fonte di desiderio. In questo caso è un desiderio legato alla possibilità
di procurarsi piacere fisico, emotivo o mentale, senza considerare che
dall'attrazione discenderà sofferenza non appena il desiderio verrà frustrato o
svanirà a causa della mutevolezza insita in tutte le cose.
Dvesa, di conseguenza, è la polarità opposta al raga, ovvero la repulsione
provata verso le cose poiché foriere d'infelicità. Le repulsioni determinano
attaccamento quanto le attrazioni, poiché ci legano ad eventuali ingiustizie che
sentiamo inappropriate alla nostra esistenza. L'ingiustizia e l'idiosincrasia
che avvertiamo verso eventi comporta il tentativo costante di evitarli, con un
dispendio notevole d'energia accompagnato da emozioni negative come rabbia
(desiderio di vendetta) o tristezza.
Infine, Abbinivesa è il forte attaccamento alla vita - negando la polarità
vita-morte come un tutt'uno - considerando buona la vita ma cattiva la morte: la
morte viene vista come evento da procrastinare quanto più possibile vista la sua
ineluttabilità. La paura della morte nasce appunto dall'identificazione dell'Io
col corpo, dimenticando che l'anima, lo spirito ed il Sé non sono il corpo, ma
qualcosa che sopravvive alla morte. In tal senso la morte non esiste in quanto
evento finale in assoluto, ma solo in quanto evento di questo corpo in questa
vita.
Risulta chiaro, quindi, che l'attaccamento a tutto ciò che ci circonda,
corrisponda all'azione dei cinque klesa succitati, e che la perdita o
l'attenuazione di essi determini, di contro, l'apertura verso la realtà suprema
del Sé. Realtà che è composta dalla compresenza di tutte le polarità, poiché è
falsità la netta separazione tra buono/cattivo, inizio/fine, giusto/sbagliato.
Con questo non si vuole cadere in un cieco nichilismo per cui nulla esiste e
tutto è possibile: al contrario, riteniamo che la capacità di discernimento
operata da una mente saggia ed evoluta sia capace di evitare dolori e sofferenze
a sé e ad altri.
La vera risoluzione del conflitto generato dalle polarità, sta nel comprendere
che la finalità di tutte le cose sta nell'elevazione al di sopra del bene e del
male: accadimento possibile solo nel momento in cui si attua quel distacco
auspicato dalla filosofia yoga attraverso il mantenimento della disciplina, ed
in particolare, come afferma Patanjali, con il costante esercizio del Kriya-yoga.
La comprensione dell'inutilità del male (che viene compiuto solo a fini
egoistici), come dell'inutilità dell'inseguimento senza sosta del piacere
(anch'esso finalità dell'ego), comporta il distacco dalle cose del mondo,
finalità cui l'umanità è chiamata al fine di comprendere la vera essenza della
vita: l'Amore , inteso non come possesso e piacere, ma come comprensione
dell'Uno e della totalità. Comprensione - possibile grazie al dolore e al
piacere - di quanto l'individuo sia particella del tutto e di quanto le polarità
bene/male si ritorcano sempre, nel tempo, su ognuno di noi , anche se non siamo
gli attori principali di quel particolare male o bene. Si potrebbe obiettare che
occorra, dunque, far solo del bene. Sarebbe opportuno , solo se venisse compiuto
senza l'attaccamento alla gratifica che ne potrebbe conseguire: far del bene ,
procurare piacere - solo per riceverne - innesca circolarmente, la lotta del
possesso e , quindi, della competizione e sofferenza.
Kriya yoga (scuola di pensiero simile al karma yoga che fa capo a
Yogananda) significa yoga dell'azione: implica l'azione connessa al pensiero,
alla devozione, alla respirazione ed alla meditazione. Questo tipo specifico di
yoga (ricordiamo che le suddivisioni dello yoga sono principalmente dodici),
attenua i klesa sopraccitati conducendo l'adepto al samadhi, ovvero alla realtà
trascendente dell'uomo e delle cose. L'attenuazione dei klesa comporta il
distacco emotivo da tutti gli accadimenti sia interni che esterni , ove per
distacco s'intende l'elevazione spirituale che permette di osservare l'evento
considerandoci esterno ad esso. Tale meccanismo, oltre ad essere la chiave
d'accesso per la spiritualità, è in prima battuta un potente meccanismo
psicologico che permette di leggere l'accadimento nella sua interezza, da più
angolature, e di poterne, quindi, estrapolare soluzioni per dare ad esso un
senso rintracciandone possibilità di cambiamento.
Non esiste cambiamento quando c'è identificazione e , quindi, attaccamento. Il
cambiamento è possibile solo quando ci si apre alla rinuncia e, quindi, alla
perdita. Per rinuncia e perdita ci riferiamo alla rinuncia dell'attaccamento
alle emozioni, sia positive che negative, da parte dell'io. Forse il compito più
arduo per l'uomo, che vive, invece, di continua ricerca di gratifica dell'io ,
tralasciando con tale atteggiamento l'intera personalità costituita da realtà
divina immanente e la cui sola realizzazione avviene attraverso - citando C. G.
Jung - la funzione trascendente, finalità ultima dell'esistenza ove conscio ed
inconscio s'incontrano dentro e fuori si sé, nell'evoluzione dell'anima del
mondo.
La terapia regressiva, analizzando i klesa contenuti nei nuclei di tensione
karmica, permette ad essi di svelare i loro archetipi e, quindi, di
rintracciarne le origini al fine di trasformarli. I klesa accompagnano la vita
di ogni individuo; se al momento della morte essi saranno ancora pienamente
attivi e non attenuati o sradicati, si ripresenteranno nelle vite successive con
la stessa intensità ed allo stesso livello con cui avranno lasciato la vita
precedente: si determinerà, in pratica, continuità ma non cambiamento,
ripetizione senza fine dell'errore dell'attaccamento alle emozioni ed alla vita
terrena.